Marco Parente
Intervista su Neve ridens

Freak Out (7/11/2005)

Neve Ridens è il titolo del quarto disco in studio – uscito poche settimane fa – di Marco Parente. Cantautore al quale critica e pubblico riconoscono la paternità di una nuova ed originale "forma canzone", nettamente distaccata dalla tradizione cantautorale italiana di Tenco, Paoli, Battisti, De Andrè. Testi poetici, citazioni letterarie e traiettorie musicali talvolta prossime al jazz, ma anche coinvolgimento emotivo ed una certa immediatezza, nei limiti del possibile. Freak Out intervista Marco pochi minuti dopo il concerto napoletano al Velvet Zone, una delle prime tappe del nuovo tour promozionale che girerà l’Italia sino a Dicembre.

Sulla stampa specializzata già si parla con curiosità di Neve ridens, il seguito del nuovo disco. Hai scritto in questi anni così tante canzoni che hai deciso di pubblicarle su due dischi separati? E come mai non un doppio CD? Magari la seconda parte è solo un progetto nella tua testa, ancora tutto da incidere?

Il secondo disco è già per 3/4 pronto, ed uscirà a Febbraio. Mancano un paio di pezzi, ed uno di questi – che sarà il singolo – prevede degli ospiti a sorpresa, ma ancora non siamo riusciti ad incontrarci per registrare.
Mi sono ritrovato con molte canzoni alle quali non volevo rinunciare, ed erano canzoni molto dense... dense di cose da dire, di sensazioni. Quindi non volevo rischiare che, facendo un doppio CD, l’ascoltatore giungesse al secondo disco già stanco; non si può pretendere un’attenzione così estrema da chi ascolta. Da lì sono venute varie idee e quella scelta mi è piaciuta perchè permetteva di selezionare le canzoni distribuendole su due percorsi. Le canzoni s’appartengono tutte tra loro, ma sono distinte in un primo e un secondo tempo. La stessa Mescal mi ha incoraggiato, così ho continuato ad approfondire le due anime di Neve Ridens.

E la cancellatura della seconda parola, nel titolo, cosa significa?

Vuol dire proprio questo: quando il secondo disco uscirà, la parola "Neve" sarà cancellata, mentre la parola "Ridens" no: il lavoro allora sarà completo.

Vuoi dirci qualcosa di queste strane percussioni che stasera erano sul palco qui al Velvet e che avete utilizzato nel registrare il disco... le custodie dei tamburi anziche i tamburi stessi.

Penso che abbiamo inventato una nuova batteria, e questa ha condizionato in senso positivo l’intero lavoro ed il suo suono; tutto il gruppo s’è calato nel suono di questo strumento, che è a tutti gli effetti una batteria pensata utilizzando gli scarti... dunque le custodie.

E’ un suono interessante, molto legnoso, profondo...

Legnoso, ma anche coinvolgente, no? A me ricorda una drum machine...

Sei considerato un cantautore "indie" che fa ricerca all’interno dei confini del "pop". Con "Neve Ridens 1" mi sembra che continui a mantenerti in equilibrio tra questi due estremi. Come vivi questa tua collocazione? E’ frustrante, qualche volta?

No, frustrante no. E’ una scelta, la mia, ma ti dirò di più: io mi sento alieno e a disagio anche nel mondo "indie". E certe volte anche in questa seconda dimensione sento di dover motivare e spiegare qual’è il mio lavoro, che non ha niente a che vedere nè con la musica "pop" in generale, nè tanto con l’"indie". Faccio quello che so fare, ma frustrazione non ne provo!... ne può nascere magari quando osservo che la gente non sa come si deve porre rispetto a ciò che sta ascoltando, ma basterebbe smettessero un attimo di cercare d’inquadrarmi come musicista "pop" o "indie" e sarebbe tutto più facile anche per loro.

Sembra esserci un solido gruppo di cantautori italiani che non si rifanno più semplicemente alla tradizione cantautorale italiana: Paolo Benvegnù, Emidio Clementi, Carmen Consoli, Federico Fiumani, Cesare Basile, Cristina Donà, e poi ci sei tu... Aldilà della tua amicizia con molti di questi artisti, ti sembra ci sia davvero un movimento artistico omogeneo... una "scena"?

Siamo tutti amici e collaboriamo tra noi in maniera spontanea, ma riguardo l’esistenza di una scena, devo dirti di no. Secondo me è un’invenzione della gente, che chissà perchè ha bisogno di un riferimento, di riconoscersi in qualcosa che sia un movimento; come avviene nella politica, accade esattamente allo stesso modo nell’arte e dunque nella musica. Ciò non preclude che io possa incontrare altri musicisti con i quali, pur avendo poco o nulla in comune a livello musicale – io e Manuel Agnelli, ad esempio – trovo delle affinità caratteriali, che sono sicuramente la migliore premessa per suonare insieme. Ma una scena basata sulle affinità musicali io non la vedo, e non la auspico neanche: che poi si comincia a creare – ed è già successo in passato, negli anni 90, ai tempi dei CSI – la piramide tra gli artisti, con chi stà sopra e chi sotto e non è proprio il caso...

Pochi giorni fa hai messo in atto un bizzarro tour di presentazione del disco nuovo lungo una sola giornata: "Neve Ridens – un Giorno"; hai suonato in diversi punti della città di Firenze nel giro di poche ore... come t’è venuto in mente?

Non so come m’è venuto in mente... avevo voglia di fare una presentazione non classica del disco nella città in cui vivo; sono partito dall’idea di una esibizione in una vetrina famosa di Firenze, quindi qualcuno ha azzardato: facciamno una cosa itinerante e poi è venuto fuori una specie di tour di un giorno scegliendo luoghi originali; ed il filo conduttore erano le canzoni del disco, malgrado venivano adattate al luogo specifico: in libreria ho suonato un libro, nella metropolitana ho ricercato il suono del classico "stomp" stradaiolo, nella galleria d’arte c’era un video che interagiva con ciò che stavo suonando ed in più c’era l’esposizione delle opere del mio babbo.
Ogni volta che parlavo dell’idea con qualcuno trovavo gente che si infervorava e voleva dare una mano; sino alle istituzioni di Firenze, che hanno voluto presenziare; fino all’ultimo avevo dubbi: ce la facciamo, non ce la facciamo, è tutto pronto, pioverà, non pioverà, ed invece è stato bellissimo. Una troupe ha girato un video e così uscirà anche un DVD dello spettacolo, molto presto.

C’è un buon affiatamento, sul palco, tra te e la band. Sembrano musicisti polivalenti, di fomazione anche jazzistica malgrado giovani.

Mi fa piacere. Perchè secondo me è una vera band ed al disco ci abbiamo lavorato come fa una vera band: io sono arrivato in studio con le canzoni, mi sono messo in un angolo ed ho iniziato a suonargliele alla chitarra. Poi il disco è stato arrangiato da loro, ed il suono infatti è il "nostro" suono; ciascuno ha messo del proprio, e senza di loro queste canzoni semplicemente sarebbero altre canzoni. Per conto mio, nel disco ho messo innanzi tutto una serie di esperienze fatte in questi anni. Tutti stanno accogliendo bene disco e tour, e questo ci motiva a continuare.

La parola "specchio" è molto ricorrente, nei testi di questo disco: come mai? E’ un’immagine simbolica speciale, per te?

Mmmmh, ci sono delle immagini ricorrenti nelle mie canzoni, e lo specchio inoltre è una metafora forte, un oggetto che a tutti quanti dice qualcosa, ed ognuno può dargli il proprio significato: non a caso è un’immagine molto letteraria. Per me lo specchio è lo stare in mezzo alla gente ed esserne zeppo sino in fondo. E’ un’esigenza assente nei dischi precedenti e che qui invece abbonda, perchè tutto ciò che osservo e faccio lo voglio fare dall’interno, ora... dall’interno c’è un’esposizione, un mettersi in discussione ancora di più... finisci per metterti a nudo: lo specchio vuole indicare questo.

Ma è una cosa che riesci a fare con spontaneità?

No, fa parte di un mio progetto, di osservare per bene ciò che mi succede nella vita, e di come mi succede. Nel disco dove c’è la parola "specchio" c’è la parola "gente", c’è la parola "cibo", c’è la parola "sorriso", e poi "spontaneità". E poi che altre parole ci sono?...(sorride, ndr). Beh, ne manca una importante, mi pare, ma queste più o meno sono le parole chiave del disco.

Nella canzone ‘Amore e Governo’, tu...

Ecco!: c’è "AMORE"..., che forse è la parola più importante del disco (sorride, ndr).

Si. Dicevo: in ‘Amore e Governo’ ad un certo punto tu parli del rischio di "sentirsi ridicolo a appartenere..."; cosa intendi dire?

Si, è molto politico, quel testo. E si ricollega ad un’altra frase che c’è nel finale: "...sai qual’è la distanza tra un bacio e il potere?". Io mi son chiesto come accade che apparteniamo a qualcosa. Inizialmente pensavo all'appartenenza ad un'ideaolgia politica. Poi ho capito che quello che mi interessava non era tanto l'aspetto dell'appartenenza a un'ideologia, a un movimento, a un partito, ma capire cos’è che regola l’amore, non solo quello romantico, ma l’amore in generale come socialità. Qual’è il rapporto tra l'amore ed il potere? In amore se c'è l'uno non c'è l'altro? o forse non è così? Anche in una coppia ci sono dei poteri: da lì ‘Amore e Governo’. E mi chiedo se abbia un senso appartenere a qualcosa; tu prima parlavi di "scena musicale", ad esempio... Mi chiedo se ha senso dare un senso allo stato delle cose, e se riesco a non sentirmi ridicolo ad appartenere a qualcosa.

Ma rifiuti anche l’essere di riferimento per gli altri?

Quello prima di tutto... prima di tutto!

E’ una tua scelta di libertà?

Si. Però mi mischio con gli altri, mi comprometto... mettendomi sempre sullo stesso piano, ma cercando anche di aggrapparmi da qualche parte per non perdere del tutto il controllo...

Ed hai difficoltà, poi, se in ciò che dici qualcuno trova un messaggio e lo vuol seguire?

No. Beh, poi sono fatti suoi... l’importante è che lo recepisca come una condivisione, e non come un insegnamento. In ‘Trasparente’ già chiedevo: "non miti, non dita/a indicare metodi di vita". Io non ci tengo, e non solo: se posso lo combatto anche. Perchè credo non sia bella questa ossessione della nostra società, questo bisogno che qualcuno ci rassicuri; la religione, la politica, l’amore si basano su questo. Perciò accosto le parole "amore" e "potere".

Può darsi che la libertà che tu sembri rincorrere sia molto difficile da gestire...

Infatti, mi vedi: sono disperato! (sorride, ndr).

Beh, ma molte persone che t’ascoltano avranno lo stesso problema. Desideriamo essere liberi per sentirci più protetti... anche da una canzone...

Ma io le mie responsabilità me le assumo, e spero di non aver commesso delitti. Una volta m’è capitato che una persona è venuta da me e m’ha detto: "guarda, tu m’hai salvato la vita... io non avevo più riferimenti, mi stavo per uccidere, poi ho ascoltato quella canzone e m’è cambiata la vita...". Io mi son sentito gelare, ho pensato: "oddio!...". Ovviamente ti può lusingare l’attenzione della gente, non ti dico bugie, ma in questo caso vedi il potere che può avere non tanto uno slogan o una parola, quanto l’atteggiamento con cui fai certe cose. Ed è soprattutto questo che deve passare agli altri – ed io spero che passi – del mio lavoro.

Cosa ci dici di ‘Il Posto delle Fragole’, il singolo del disco, ispirato dall’omonimo film di Ingmar Bergman?

E’ un omaggio ad un film che spesso rivedo, e che mi ha dato anche una svolta, ad un certo punto della mia vita. Dalla prima volta che l’ho visto, sino alla quindicesima, sono emerse delle immagini che ho custodito a lungo, e riportato poi nella canzone, qua e là.
Ma sono cose segrete e, lungi da me, raccontarle in giro.



Neve ridens, un giorno
Neve ridens


di Fausto Turi e Colomba Palladino

...Il colore ...Ha il genio dei popoli?